Cani che mettono in difficoltà la famiglia: come comportarsi?
Quando si convive con un cane che mette in difficoltà la famiglia ci si indirizza, o ci si dovrebbe indirizzare, verso un professionista esperto nel comportamento (Medico veterinario o laico ora non è importante) ma non sempre questo primo è quello giusto e quindi non è raro che vengano consultati nel tempo più esperti.
Nei casi più complessi è facile che le famiglie “vaghino” da un professionista all’altro alla ricerca del più bravo ossia di colui che possa svelare ciò che di quel cane nessuno ha mai veramente compreso prima. Si riversa, nell’attesa di questa intuizione che deve giungere, l’aspettativa di poter finalmente risolvere le difficoltà del cane e di conseguenza i problemi della famiglia.
Non sempre però tale ricerca ha il finale che ci si aspettava perché questo fantomatico professionista più bravo di tutti non lo si incontra visto che nonostante tutte le valutazioni e i consigli nulla accade che cambi in meglio la situazione. Siamo proprio sicuri che abbiate cercato esattamente quello di cui avevate bisogno?
I consigli del medico comportamentale non portano benefici: perchè?
Quello che io ho imparato in questa professione è che dopo una prima consulenza, seppur lunga, diciamo anche di due ore, l’esperto in comportamento si sarà fatto un’idea, comunque, parziale dell’individuo che gli viene portato in valutazione e della sua famiglia. Nonostante la visione parziale il più acuto e attento osservatore offrirà i suoi consigli che possiamo immaginare correttissimi ma è molto probabile che non apporteranno benefici. Perché questo?
Perché quando si incontra un cane in difficoltà e la sua famiglia per riuscire a migliorare la qualità della loro vita hanno bisogno di intraprendere un percorso di cambiamento e questo può avvenire solo all’interno della relazione terapeutica che si instaura tra professionista-cane-famiglia, dove tutti sono co-costruttori della relazione stessa che deve muoversi all’interno della cooperazione. Non è infatti sufficiente una richiesta d’aiuto da parte della famiglia al professionista perché si instauri una relazione cooperativa tra le parti ma è necessario che a seguito di un primo contatto si costruisca e si mantenga una relazione con tali caratteristiche.
Cosa si intende per Relazione Terapeutica?
La Relazione Terapeutica è quella relazione che ha in sé le caratteristiche per condurre al percorso di cambiamento e quindi al suo buon esito.
La prima caratteristica è che sia resa salda dall’alleanza terapeutica stabilendo e condividendo quelli che sono gli obiettivi del percorso e i metodi che si utilizzeranno per raggiungerli. Perché l’alleanza sia efficace ha bisogno di sincerità e deve essere basata sull’affettività tra le varie parti in causa con particolare attenzione a sentimenti come lealtà e fiducia reciproca. Per poter co-costruire una relazione così fatta è necessario che i vari soggetti si trovino in una condizione relazionale paritetica dove i vari attori all’interno del percorso congiunto hanno pari valore e pari responsabilità seppure con competenze differenti. Nulla potrà fare l’esperto cinofilo più preparato senza che la famiglia gli offra la sua visione e senza una reale partecipazione.
Quali possono essere gli impedimenti ad una sana Relazione Terapeutica?
Cosa può marciare contro una relazione con questi presupposti favorendo la non buona riuscita del percorso?
Sono tanti gli inciampi relazionali che possono mettere a rischio il percorso di cambiamento e alcuni di questi riguardano proprio i professionisti che se non preparati adeguatamente potrebbero loro stessi, inconsapevolmente, boicottare la relazione.
Uno fra tutti è la deriva psicopedagogica che può essere intrapresa dal professionista che investendosi del ruolo di “colui che sa” sarà portato a impartire ordini alla famiglia su cosa fare o non fare. Tale deriva è una chiara dimensione relazionale di tipo agonistico in cui il professore, ossia il professionista, è dominante rispetto al discente, proprietario, perché l’unico ad avere il potere per dare prescrizioni. Tutti quegli atteggiamenti che in modo molto frequente vengono intrapresi dai professionisti del comportamento animale tendono a giudicare e a svalutare la gestione del proprietario e sono loro il primo boicottaggio della relazione e quindi del percorso. Non è raro osservare le famiglie che dopo poco che tali atteggiamenti vengono messi in atto sfuggono agli appuntamenti, disattendono le prescrizioni.
A seguito di tali eventi raramente ci si chiede cosa non abbia funzionato o in che modo siamo responsabili ma anzi in formazione si cercano tecniche su come aumentare l’efficacia di quanto diciamo, ponendo domande del tipo “come faccio a farmi seguire dalle famiglie?” “Che tecnica devo usare per essere maggiormente incisivo?”
Probabilmente l’errore è alla base del problema ed è nel tipo di relazione che si pensa e si vorrebbe con la famiglia del cane. Essere co-costruttori della relazione, alla pari con la famiglia, ci rende responsabili della buona riuscita di questa relazione e non è sufficiente essere dei bravi professionisti, conoscere tutto sui cani e neppure essere stati chiamati per apportare aiuto. La costruzione di questa relazione chiede a tutte le parti in causa, a mio avviso soprattutto al professionista, uno sforzo anche personale, perché è solo dentro tale relazione che cane e famiglia troveranno gli strumenti e i significati propri per poter stare in un percorso di cambiamento.
Crolla con questi presupposti la frase “io lavoro solo con i cani” oppure “io ti spiego come gestire il tuo cane e poi tu applichi quanto ti dico”. Questo perché al di là del problema per il quale siamo chiamati è dentro la relazione che questo problema si sviluppa e si manifesta e per poterlo affrontare è dentro quella relazione che bisogna avere il coraggio di stare e per esperienza so che non ci sono mai sedute comode.