Sono undici anni che dedico un’ora alla settimana ad un centro diurno disabili svolgendo attività di educazione assistita con animali insieme ai miei cane Hook e Circe.
Lavoro con un gruppo di cinque utenti adulti con grave deficit mentale, difficoltà verbale, visiva e motoria molto gravi.
La scelta degli utenti si era basata sulla problematicità di queste persone a partecipare alle attività che il centro proponeva loro, legata alla difficoltà di comunicazione, di movimento e possibilità di utilizzo delle mani.
Il gruppo in questi anni è rimasto pressoché lo stesso in quanto si è
evidenziato che queste persone partecipavano con interesse e che dava loro piacere e benessere.
Le attività che vengono svolte si basano sulle dimensioni affettiva epimeletica, interattive, epistemica, esplorativa gestionale e edonica estetica, interattiva guidata.
Alla fine di ogni seduta sento sulle spalle il peso per il lavoro che abbiamo svolto e come il mio cane anch’io ho bisogno di sollevare mente e corpo dalla fatica accumulata e insieme ad Hook o a Circe faccio una bella camminata.
In realtà la mia mente ripercorre la seduta appena finita per valutare eventuali carenze o difficoltà che si sono presentate.
Alcune volte mi sento inutile, mi sembra di non riuscire a raggiungere quel benessere che il progetto a posto come obiettivo, altre volte esco e sento che qualcosa abbiamo dato a queste persone!
Oggi al mio arrivo in struttura mi riferiscono che è “una brutta giornata per R.”, la ragazza non vedente con difficoltà motorie e deficit mentale grave, in quanto è dall’inizio della giornata che cercano di coinvolgerla in qualche attività senza
ottenere risultati, anzi si innervosisce, urla e si appisola.
In giornate come queste gli educatori non possono fare altro che lasciarla tranquilla e accudirla nei bisogni di base non senza difficoltà.
Al mio arrivo la saluto e sento la sua voce che dice “ Uk Uk” e vedo le sue mani che si muovono nell’aria alla ricerca del cane.
Le dico che c’è Circe e non Hook, allora lei pronuncia: “ Cice”, quindi ci avviciniamo e invito Circe a salire sul divano per accucciarsi vicino a lei.
Il cane le annusa il viso e lei ride, quindi Circe le da il fianco lasciandosi toccare e le mani di R. frugano nel pelo di Circe, gli occhi vuoti sorridono e i tratti del viso tesi si distendono.
Non chiediamo loro di fare qualcosa, lasciamo che lei e il cane si incontrino su un piano affettivo epimeletico perlustrativo fino a che il desiderio di contatto e di conoscenza si esaurisce.
Osservo attentamente l’espressione del viso di R. è cambiato, è disteso e le labbra non sono più tirate, ma sorridono; scambio uno sguardo con l’educatrice che sorride e mi conferma che quello che è avvenuto è reale!
Abbiamo ottenuto quello che ci eravamo prefissati: il cane è riuscito a stimolare la ragazza e farla uscire dal suo stato di isolamento per un periodo breve si, ma sufficiente ad emozionarla e permetterle di stare bene, di accettare senza troppo fastidio le manipolazioni necessarie al suo benessere fisico!
Oggi Circe ed io abbiamo raggiunto uno traguardo e la nostra passeggiata ristoratrice di fine seduta è stata all’insegna della soddisfazione di aver dato un piccolo aiuto a questa ragazza con cui il destino è stato così maligno, ma so anche che tutto ciò ha fatto bene anche a me.
Grazie R.
Dott.ssa Vittoria Pavoni