Nuovo appuntamento di questo viaggio è per sabato 22 aprile 2017.
Ormai i preparativi e i gesti sono diventati una routine e carico l’auto di tutto il necessario con disinvoltura rispetto ai precedenti appuntamenti. Questa volta sento con maggiore tensione il dover fare una docenza che ha fatto fatica a nascere e che spero sia all’altezza delle aspettative del corso.
Ore 8,30 sono già in sede, qualche corsista è già arrivato e mi accoglie con i saluti di rito; non vedo Davide, il padrone di casa, ha avuto un problema di salute e non so cosa aspettarmi…
Entro in aula e mentre sistemo tutte le cose che di lì a poco mi serviranno, sento che alle mie spalle arrivano tutti glia altri. Anche Attilio arriva puntuale, un saluto fugace, uno sguardo per capirci, una battuta per riscaldare l’intesa e so già che anche lui è pronto per cominciare. Davide ci ha raggiunti con le stampelle, il viso non è dolorante, mi sento già più tranquilla.
Inizio la lezione alle 9,30 conducendo questa barca nel tormentoso mare del Disturbo Competitivo di Relazione. Affronteremo diversi argomenti tabù per la cinofilia dalla quale veniamo tutti noi, capiremo che tutto il sistema famiglia sarà il fulcro del problema e le diagnosi differenziali occuperanno la maggior parte di questa relazione. La lezione procede fluida, Attilio mi aiuta con esempi calzanti al fine di rendere la teoria più vicina alla pratica.
Ore 12,30 finisco il mio intervento ed è già ora di pranzo. Il nostro pranzo collettivo scalda il cuore, a scaldare il corpo ci pensa il vino e i brindisi per i compleanni appena passati che val la pena ancora di festeggiare.
Ore 15,00 siamo pronti a riiniziare con la lezione di Attilio e la sua teoria della pratica, in cui ci presenta diversi filmati su un caso clinico seguito da veterinario esperto in comportamento e istruttore riabilitatore. Vederlo lavorare ci entusiasma ma a tratti rischia di gettare la classe nel dubbio di riuscire a fare altrettanto. L’obiettivo dei corsisti di questo corso non è riuscire a lavorare come vedono fare ai docenti, ma che ognuno riesca a personalizzare ciò che vede elaborando un proprio modo in base alle propria sensibilità.
Domenica mattina iniziamo con la presentazione del caso clinico che di lì a poco ci raggiungerà e che richiede un’attenzione particolare vista la complessità e la delicatezza dell’argomento.
Ore 10,40 ci raggiungono Billy e parte della sua famiglia, il lavoro che vedremo in campo sarà svolto con lui e i suoi proprietari, Attilio e l’istruttrice che li segue. La calma e l’accuratezza delle attività svolte aiutano l’intero gruppo a unirsi e a sentirsi una cosa unica, senza che Billy abbia l’interesse a prendersi in carico la responsabilità di ciò che accade. La superficialità non è ammessa e Billy non perde l’occasione di ricordalo alla proprietaria in un momento di sbadataggine. La seduta si allunga in spiegazioni e supporto ai proprietari perché più che in ogni altro problema del comportamento nel DCR il gruppo vacilla e va sorretto e accolto nelle sue debolezze.
Durante questo incontro il tempo vola, ce ne resta ancora un po’ per la restituzione del caso in aula. In questa occasione teniamo le fila della discussione in modo che la classe resti agganciata all’argomento e agli obiettivi della riabilitazione senza cadere in facili soluzioni che non sono volutamente argomento di questo percorso.
Ore 15.00 iniziamo l’ultima parte di questo week end con un caso teorico che viene presentato da Katia Galbiati sul DCR intraspecifico. Il caso appassiona subito l’aula ed alla fine della discussione arriviamo tutti alla conclusione che senza l’apporto della relazione cane-proprietario i nostri strumenti sono inattuabili e riflettiamo sull’opportunità di quando sia giusto rinunciare a un caso.
Il pomeriggio procede con ulteriori discussioni sul DCR, che grazie agli spunti offerti da Attilio sono fonte di profonde riflessioni anche personali. Ore 18,30 chiudiamo i lavori e per la prima volta fuori dall’aula ad accoglierci troviamo ancora la luce. Quasi siamo tentati di restare e scambiare ancora qualche chiacchiera se non ci fossero lunghi viaggi da affrontare per tornare a casa. Il mio non è poi così lungo, ma per la prima volta vengo accompagnata oltre che dalla stanchezza anche dalla sensazione di un bel mare calmo dopo il tumulto; ho ancora la lucidità di comprendere che il porto dal quale siamo partiti a gennaio è veramente molto lontano, che la via di navigazione alle nostre spalle è tracciata ma è sempre più chiara davanti a noi la via che vogliamo percorrere, tanto da non voler più tornare indietro. Io non voglio più tornare indietro.